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Via Montenapoleone è la spina dorsale del milanese circuito consumistico della moda

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Via Montenapoleone oggi

Nel suo tracciato, via Montenapoleone, come raccontano Guido Lopez e Silvestro Severgnini nel volume Milano in mano (Mursia) “percorre il fosso, tuttora esistente nel sottosuolo, che circondava le mura romane e di queste rimane traccia qua e là nelle cantine del lato dispari”. Il rullo compressore della moda ha trasformato questa strada. Da quello che una canzone di Van Wood definiva “il salotto di Milano” è diventata un’ossessiva parata di scarpe, gonnelle, tailleur, bolerini, camicette, double, cachemire, completi da uomini e donne in carriera, borse, gioielli, orologi.

Era fisiologico, scontato che il prêt-à-porter, il made in Italy, realtà trainanti di Milano, puntassero a darsi un proscenio d’immagine. E lo avrebbe fatto occupando a colpi di portafoglio strade che il terziario, le banche avevano già provveduto a svuotare di vita. Ma alti sono sempre stati i lamenti attorno alla metamorfosi della via. Nell’ultimo dopoguerra, ha definitivamente sgominato la Galleria Vittorio Emanuele. Non era più quella asse centrale del passeggio, dello struscio, del ritrovarsi cittadino, del “fare le vasche” come, nel gergo degli anni ’50, si chiamava l’andare avanti e indietro per Montenapoleone.

L’imposizione di Via Montenapoleone

A lamentarsi, cominciò proprio nel 1950, un grande memorialista milanese, Raffaele Calzini. Lo scrittore disse: “Era ancora, attorno al 1920, una pacifica e signorile via che raccoglieva come un maggior fiume gli affluenti solitari e aristocratici di via Borgospesso, di via Santo Spirito, di via Gesù, di via Sant’Andrea. Per un fenomeno urbanistico imponderabile, timidamente, poi con maggior coraggio, infine con spavalderia e sfacciataggine, Montenapoleone si mise in gara con altre eleganti vie italiane. Con la fiorentina via Tornabuoni, la romana via Condotti, la palermitana Quattro Canti, la napoletana via Chiaia”. Le critiche, i mugugni, i rimpianti si sono moltiplicati in maniera direttamente proporzionale all’invasione della moda.

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Via Montenapoleone negli anni ’80

Giornalisticamente si pianse quando, negli anni ’70 e ’80, la drogheria Parini, importantissima nella vendita di spezie, lasciò il posto a Valentino e alle calze Fogal. O anche il fruttivendolo Moretti, che vendeva primizie a prezzi da carato. Furono ancora più calde le lacrime quando Versace spodestò Ricordi, negozio di dischi che aveva cullato i primi amori di due generazioni. E anche quando il Salumaio, caposaldo gastronomico di Montenapoleone, accettò, confortato da molti miliardi, di traslocare all’interno di un cortile per fare posto all’insegna di Corneliani.

Ma nessuno, negli anni ’20 e ’30, aveva pianto, quando Bottega di Poesia, una libreria-galleria d’arte fondata da Enrico Somaré, Emanuele Castelbarco e Walter Toscanini, era stata costretta a chiudere e vi era subentrato Marco, un negozio di stoffe. La verità è che, assai prima del boom di stilisti, assai prima di Milano capitale del prêt-à-porter, Montenapoleone era, come percentuale di vetrine, la via della moda. La metamorfosi è stata soprattutto un cambio e un’infittirsi di firme, un mutamento per linee interne.

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