
Gucci
Gucci è un marchio di moda del gruppo Kering fondato nel 1921 da Guccio Gucci

Indice
- Le origini: Guccio Gucci
- Il DNA del brand
2.1 Verde-rosso-verde
2.2 Il logo - La crescita di Gucci
- La terza generazione
- L’era di Tom Ford
5.1 Gucci vende il pacchetto azionario
5.2 La personalità di Tom Ford - Dal 2000 al 2005
6.1 Esposizioni, inaugurazioni e collaborazioni
6.2 Le vendite calano
6.3 Il mercato asiatico
6.4 Tom Ford lascia Gucci - Nuovi direttori creativi
- Dal 2005 ad oggi
8.1 Il 90° anniversario - Kering
- Situazione attuale
- La svolta con Alessandro Michele
- I 100 anni di Gucci e la collaborazione con Balenciaga
- Il valore di Gucci
Le origini: Guccio Gucci
Gucci venne fondata nel 1921 da Guccio Gucci (1881-1953), figlio di un fabbricante di paglie che, giovanissimo, si trasferì prima a Parigi e poi a Londra dove, lavorando come liftboy al Savoy Hotel, fece proprio il gusto del bello e dell’eleganza. Al suo ritorno a Firenze, dopo aver lavorato presso la ditta Franzi di Milano, aprì un primo negozio e un piccolo laboratorio in via della Vigna 7 e via del Parione 11: vendeva articoli da viaggio e selleria. Nel ’32 si trasferì nei più ampi locali di via della Vigna Nuova 11. Cinque anni dopo, produceva, in un suo stabilimento ancora artigianale di Lungarno Guicciardini, borse, valigie e articoli sportivi.
Il DNA del brand: morso e staffa
I primi successi sono legati anche a complementi per l’equitazione: molto presto, infatti, i motivi del morso e della staffa diventarono l’emblema della casa fiorentina. Le vendite furono tali da spingere Gucci fuori dai confini della sua città natale. Approdò a Roma con un negozio in via Condotti: era il ’38. Durante i difficili anni dell’autarchia, la fantasia faceva fronte alla carenza di materie prime con l’introduzione di materiali come canapa, lino, juta e il celebre bambù, meno costosi dei consueti pellami e tali da alimentare l’originalità della griffe. Nel ’39, il passaggio da ditta individuale a società segnò l’ingresso ufficiale nell’attività dei figli. Guccio Gucci aveva cinque figli: Ugo, Grimalda, Vasco, Aldo e Rodolfo, ma dopo la morte del padre nel 1953, Aldo e Rodolfo presero le redini dell’azienda. Rodolfo inaugurerà nel ’51 il negozio di Milano in via Montenapoleone 5.
Verde-rosso-verde

Gli anni ’50 rappresentarono un momento importante nella vita dell’azienda. Nel ’53 il vecchio laboratorio artigianale fiorentino di Lungarno Guicciardini si trasferì nei locali di Palazzo Settimanni in via delle Caldaie, oggi modernissimo show room. Distintivo del marchio diventò un nastro ispirato dal sottopancia della sella, di diverse grandezze, in lana o cotone, nei colori verde-rosso-verde per gli articoli in cuoio naturale e in blu-rosso-blu per pellami colorati. Nello stesso anno, l’azienda, che aveva già una dimensione europea, decise di radicarsi in maniera più stabile anche oltreoceano e diventare una fra le teste di ponte del Made in Italy negli Stati Uniti.
Il logo GG

Sono gli anni in cui l’azienda decise di usare il logo GG, a indicare le iniziali del fondatore, come motivo ornamentale per una stoffa in tela di cotone, chiamata GG Canvas, con cui realizzare borse, piccola pelletteria, valigeria, oggettistica e i primi capi di abbigliamento. Fu Aldo Gucci a volere con forza l’espansione con l’apertura di un primo punto vendita nella 58ma Strada di New York. Si consolidano, intanto, i prodotti destinati a diventare dei “classici”: la prima borsa con il manico di bambù (’47), il mocassino con il morsetto (’52-53), il foulard Flora (’67), creato da Rodolfo Gucci e Accornero per Grace Kelly. Donne dallo stile inimitabile, come Audrey Hepburn, Jackie Kennedy, Maria Callas, la duchessa di Windsor, scelsero articoli Gucci. Grazie all’apertura dei nuovi punti vendita di Londra (’61), Palm Beach (’61), Parigi (’63) e Beverly Hills (’68) e alla creatività della produzione, la casa ottenne nuovi significativi consensi nei più importanti mercati del mondo.
La crescita di Gucci
A Firenze, dopo l’alluvione dell’autunno ’66, Gucci lasciò le vetrine di via della Vigna e traslocò in un negozio di via Tornabuoni. Il potenziale produttivo si sviluppò con l’apertura nel ’71 della nuova grande fabbrica di Scandicci, vicino Firenze. Questo consentì un’ulteriore estensione della rete diretta di negozi negli anni ’70: dopo Chicago (’71), quelli di Tokyo (’72) e Hong Kong (’74) segnarono l’inizio di una sempre più vasta presenza in Oriente. Lo sviluppo industriale dell’azienda non significava, comunque, la rinuncia agli schemi artigianali, sempre gestiti e organizzati nella sede fiorentina, con un severo controllo sulla qualità del prodotto.

La terza generazione Gucci
Nel frattempo, arriva in azienda la terza generazione Gucci: i figli di Aldo, Giorgio, Roberto e Paolo, e il figlio di Rodolfo, Maurizio. Tra i due fratelli e i rispettivi figli, non mancano scontri ideologici sull’amministrazione dell’azienda. Tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80, Paolo Gucci lascia l’azienda di famiglia per aprire un proprio marchio ma verrà sanzionato -e successivamente estromesso dall’azienda- per aver utilizzato impropriamente il nome Gucci. Rodolfo Gucci si ammala e a questo punto, le quote di Gucci vengono divise tra Aldo e Maurizio. Poco dopo, Aldo viene arrestato per evasione fiscale e condannato ad un anno di prigione negli Stati Uniti. Nell’82 la Gucci si trasformò in società per azioni e l’avvocato Domenico De Sole -che in passato era stato vicino ad Aldo nelle operazioni di espansione all’estero- viene nominato CEO America di Gucci. Su spinta di De Sole, Paolo Gucci venderà la sua parte delle quote al cugino Maurizio che diventa ufficialmente il socio di maggioranza.
Alla fine degli anni Ottanta, la casa di moda attraversò un periodo problematico, con forti perdite di denaro. Così, nell’89 la finanziaria anglo-araba Investcorp acquistò le azioni di proprietà di Aldo e dei suoi discendenti, mentre Maurizio mantenne la restante parte e la presidenza dell’azienda fino al 1993, anno in cui cedette a Investcorp tutto il suo pacchetto azionario per 270 miliardi.
A gestire il rilancio della griffe furono Domenico De Sole e Tom Ford. Il primo, già responsabile di Gucci America dall’84, venne nominato nel ’95 presidente e CEO di Gucci Group N.V.
L’era di Tom Ford

Tom Ford, stilista di origine statunitense, nel ’94, nominato direttore creativo dell’intera produzione, ridisegnò l’identità della griffe e, grazie a un remix di classico e moderno, di tradizione e innovazione, il nuovo stile della casa fiorentina, conquistò il mondo. Il marchio si confermava così leader nel settore della pelletteria, puntando anche sulle collezioni di abbigliamento uomo-donna che raccolsero subito grande successo di critica e di pubblico.
Gucci vende il pacchetto azionario
Tra il ’95 e il ’96, Gucci diventò la prima vera Public Company italiana con il collocamento dell’intero capitale azionario sulle piazze finanziarie di New York e Amsterdam. All’inizio del ’99, Bernard Arnault, con Lvmh, conquistò il 34,4% del capitale, rastrellando in Borsa e acquistando il pacchetto di azioni posseduto da Prada e da altri investitori. Al suo tentativo di porre mano alla gestione dell’impresa si oppose il supervisory board della Gucci, che affidò la conduzione della difesa all’amministratore delegato Domenico De Sole. Dopo l’adozione di un piano di azionariato per i dipendenti, che aveva accordato loro un’opzione per l’acquisto di azioni Gucci pari alla quota Lvmh, nel marzo 1999 venne approvata un’alleanza strategica con il gruppo francese Pinault-Printemps-Redoute (Ppr) per la creazione di un polo multimarca nell’industria mondiale del lusso. Per il prezzo del 40%, Ppr investì in Gucci 2,9 miliardi di dollari, per finanziare la crescita tramite acquisizioni.
Prima opportunità, nel luglio 1999, l’acquisizione di Sanofi Beauté, società che controllava la Yves Saint-Laurent e il gruppo di profumi di Roger&Gallet a quelli di Krizia, di Fendi e di Oscar de la Renta. Mentre Lvmh continuava la battaglia legale, gli azionisti indipendenti riuniti in assemblea manifestarono il loro gradimento al nuovo socio oltre che all’amministratore delegato Domenico De Sole. Gucci chiuse il primo semestre del ’99 con un utile netto di 255 miliardi di lire, in crescita del 68% rispetto ai primi 6 mesi del ’98.
La personalità di Tom Ford

Nella maratona di Milano Moda Donna, Gucci è sempre stato l’appuntamento da non perdere. Anche perché si dice Gucci ma si pensa a Tom Ford, stilista dal carisma indiscutibile e di innegabile fascino, del quale è, peraltro, del tutto consapevole. Continuò a percorrere itinerari di stile a lui congeniali: maestro di seduzione incontrollata, le sue collezioni erano da leggere spesso come il raffinato Kamasutra anche per quanto riguardava le tendenze maschili. Memorabili, in proposito, quelle destinate all’estate 2003, con l’erotismo al limite dell’hard, da lui stesso definito “vagamente pornografico”, con espliciti messaggi a luci rosse scritti perfino sulle pantofole.

Pretty-man o rock star: di certo un uomo che non passò mai inosservato, anche quando voleva essere incline al classico, interpretato alla maniera del Grande Gatsby. Per la donna il gioco diventava ancora più facile ed esplicito: signora animata da cattivi propositi, dentro scampoli di abiti intriganti che catturavano la platea, soprattutto in nero, colore amato per una autenticità arrogante.
Dal 2000 al 2005
Il Gucci Group continuava a crescere e acquisire diversi marchi di lusso, tra cui: Sergio Rossi, Alexander McQueen, Bedat & Co., Bottega Veneta, Stella McCartney, Balenciaga e JV australiana. La direzione creativa rimaneva sempre in mano ai singoli brand. A novembre 2001 debuttò, a Mosca, il nuovo flagship store Gucci, in Tretyakovsky Proyezd 1. Nel 2002 il Gruppo prese l’importante decisione di non importare più pelli dall’India per protestare sulla mancanza di rispetto che gli indiani nutrivano verso gli animali. Forse su questa decisione influì Stella McCartney, animalista convinta e neo stilista di Gucci. La stessa decisione era stata presa in passato da Timberland, Gap, Nike e Reebok. Quel maggio riprese anche il controllo delle attività a Taiwan, acquisendo la quota detenuta dal locale partner Tasa Meng Corporation. Inaugurò, inoltre, a Taipei, uno spazio su tre piani con un reparto di gioielleria di lusso, curato nel look come sempre da Tom Ford.
Domenico De Sole dichiarò che nel 2002 avrebbe investito 200 milioni di euro per nuovi negozi, di cui 35 in Asia.

A luglio, in un’intervista su Corriere Economia, Domenico De Sole, amministratore delegato di Gucci, dichiarò che malgrado le difficoltà congiunturali previste per il 2002, la strategia multibrand, adottata in pieno accordo con Tom Ford, non solo funzionava ma lasciava sperare e prevedere un miglioramento nella seconda parte dell’anno.
Esposizioni, inaugurazioni e collaborazioni
A settembre 2002 la sfilata milanese propose le gambe in primo piano, con minigonne addirittura così micro, da intravedersi appena sotto le giacche strette in vita e sciancrate o i giubbotti in seta bianca. Microabitini di foggia cinese, in seta pieghettata e ricamata, tagli a chimono per giacche e soprabiti a tinte forti su pantashort o slip in pizzo nero, portati in modo ultrasexy a seno nudo. Ricomparve la borsa con manico di bambù, un must di Gucci degli anni ’50, ma volutamente grande, e le décolleté aperte a sandalo in pelle d’argento. Ad ottobre, Tom Ford, direttore artistico di Gucci, aprì boutique in mezzo mondo, dopo Mosca, Manhattan, Parigi e Milano tutte disegnate da lui e dall’architetto Bill Sofield. Proprio mentre il giro d’affari faceva registrare una flessione del 6,9% (causato soprattutto dalla crisi della pelletteria), all’inizio di settembre venne inaugurata la boutique in Madison Avenue e, poco dopo, la terza boutique parigina, al numero 60 di Avenue Montaigne, che si aggiunse a quelle di Faubourg Saint Honoré e di rue Saint Honoré.
A novembre del 2002, Gucci, in collaborazione con Sàfilo lanciò due nuove linee di occhiali da sole, firmati Stella McCartney e Bottega Veneta. La collezione unisex di Bottega Veneta era disegnata dallo stilista austriaco Tomas Maier. Stella McCartney propose sei modelli di varie forme e colori. Venne inaugurato anche un nuovo megastore Gucci in via Montenapoleone a Milano. Al vecchio negozio, completamente ristrutturato, al numero 5, si erano aggiunti i nuovi spazi acquisiti al numero 7: quattro piani, con quattro vetrine e tre ingressi. Al sotterraneo le collezioni donna, al pianterreno accessori e gioielleria, mentre i due piani superiori erano dedicati all’uomo.

Le vendite calano
A dicembre 2002, il terzo trimestre 2001 mostrò un calo di utili e ricavi. Il gruppo Gucci, quotato alle Borse di Amsterdam e New York, aveva realizzato ricavi per 566,2 milioni di dollari (-7,9% rispetto ai 615 del 2000), un utile operativo prima degli ammortamenti di 80,9 milioni (contro 133) e un utile netto di 56,3 milioni (contro 114,2). I ricavi erano però sostanzialmente stabili (+11%, con 1660 milioni contro 1642), mentre l’utile netto calò comunque (da 241,7 milioni a 195,1). Ne avevano sofferto soprattutto le vendite in mercati basati sul turismo, come New York, Hawaii, West Coast e alcune città europee. Gucci aprì in via Condotti a Roma il primo negozio dedicato esclusivamente alla gioielleria e agli orologi.

L’anno fiscale 2002 si chiuse con un calo dell’utile a 226,8 milioni di euro, contro i 312,5 dell’anno precedente. Stabili invece i ricavi, a 2544,3 milioni contro i 2565,1 del 2001.
Il mercato asiatico
Ad aprile 2003, nel quartiere più elegante di Tokyo, Ginza, Gucci intendeva installare il suo quartier generale giapponese e aprire un nuovo negozio superlusso. In Giappone, dove possedeva sette punti vendita e 37 shop-in-shop, Gucci aveva realizzato nel 2002, ricavi per 500 milioni di euro, circa il 20% dei ricavi totali del Gruppo.

A maggio, alla domanda “come si affronta la crisi?”, Domenico De Sole rispose senza esitazioni:
“Limando i costi. Nel 2001 e 2002 abbiamo investito 300 milioni l’anno, più di due terzi per nuovi negozi o per rinnovare quelli che avevamo. Quest’anno le spese di capitale si ridurranno molto e la tendenza continuerà nei prossimi due anni, con grande beneficio per il cash flow”.
A settembre il gruppo francese Pinault-Printemps-Redoute (PPR) aumentò la propria partecipazione nel gruppo Gucci al 67,34%, avvicinandosi all’obiettivo del 70% previsto entro la fine dell’anno.
Tom Ford lascia Gucci

A novembre 2003 il gruppo annunciò che Domenico De Sole, Presidente e direttore generale del gruppo Gucci, e Tom Ford, direttore creativo del gruppo Gucci e dei marchi Gucci e Yves Saint Laurent, non intendevano prolungare i loro contratti, la cui scadenza era prevista per il 2004. Domenico De Sole dichiarò:
“Gucci è stato uno dei grandi amori della mia vita e gli anni trascorsi qui sono stati un viaggio fantastico. Voglio ringraziare Tom, il cui genio creativo ha reso possibili i nostri successi, così come tutti gli straordinari colleghi di tutto il mondo. Grazie alle loro capacità e dedizione, siamo stati in grado di trasformare una piccola azienda che al mio arrivo, nel 1984, versava in cattive condizioni finanziarie, in una potenza mondiale del lusso, creando così più valore per tutti i nostri stakeholder “.
Tom Ford disse:
“È con molta tristezza che guardo al mio futuro senza Gucci. Negli ultimi 13 anni questa compagnia è stata la mia vita. Stiamo lasciando una delle squadre più potenti del settore e finché sarò ancora parte del team, farò del mio meglio per assicurare il futuro successo del gruppo. Non potrei essere più orgoglioso del nostro lavoro in Gucci o dell’eccezionale team di colleghi che hanno contribuito con molto più di quello che si definisce duro lavoro: hanno messo il cuore nella nostra scalata al successo”.
A febbraio 2004, il Gruppo PPR annunciò che avrebbe presentato un’offerta per l’acquisizione delle azioni del gruppo Gucci non ancora in suo possesso. L’offerta doveva essere al costo prefissato di $ 85,52 per azione.
Nuovi direttori creativi

A marzo 2004 Alessandra Facchinetti diventò nuovo direttore creativo della linea di abbigliamento donna. Approdò in Gucci nell’ottobre del 2000 come style director della divisione donna. E subito aveva mostrato qualità eccezionali. John Ray divenne direttore creativo della linea uomo. Nel ’96 Tom Ford lo aveva chiamato in Gucci come style consultant sempre per la linea uomo e, dopo poco tempo, aveva cominciato a lavorare a tempo pieno in Gucci. Frida Giannini era la nuova direttrice creativa della linea accessori. Nata a Roma nel ’72, aveva studiato all’Accademia di Costume e Moda. Nel settembre 2002, divenuta style director della Gucci Leather Collection, contribuì in modo significativo al successo delle Collezioni in pelle.
A giugno, il gruppo PPR, che deteneva il 99,3% del gruppo Gucci, incassò un dividendo di 50 milioni di euro. Tuttavia, questo importo copriva oltre il 25% degli oneri finanziari. Infatti, il colosso francese aveva sborsato un totale di 7 miliardi di euro per ottenere il controllo della casa fiorentina, di cui 2,6 erano stati erogati per l’ultima offerta. Aveva 380 milioni di euro di debiti.

In luglio Gucci aprì un negozio interamente dedicato agli accessori nella prestigiosa Galleria Vittorio Emanuele di Milano. Il negozio aveva anche un bar. A settembre, Gucci fondò la conceria Blutonic in Toscana, di cui controllava il 51,5%. A novembre 2004 Mark Lee delineò le strategie future del gruppo. “Gucci continuerà a crescere, ma in modo più coerente con la sua immagine e tradizione. Decentralizzare? No, confermo l’intenzione di continuare la produzione in Italia, perché la forza del marchio è nel Made in Italy e, in particolare, nel Made in Tuscany, come per la pelletteria. “
Dal 2005 ad oggi
A marzo 2005, Frida Giannini sostituì Alessandra Facchinetti: divenne, infatti, la nuova direttrice creativa del reparto donna, carica che si aggiunse alla direzione della linea accessori. John Ray mantenne il suo ruolo di direttore creativo per l’abbigliamento uomo.

A gennaio 2009, Patrizio Di Marco, ex presidente e amministratore delegato di Bottega Veneta, divenne presidente e CEO di Gucci. Di Marco e Giannini cambiarono le strategie dell’azienda e hanno decisero di restaurare il marchio Gucci. Già nel 2010, Gucci era diventato il marchio più prezioso del gruppo PPR, con un fatturato di più di € 2,66 miliardi (+11% rispetto al 2008) e un utile operativo di € 765 milioni.
Il 90° anniversario
Nel 2011 Gucci celebrò il suo 90° compleanno: tra i festeggiamenti fu anche inaugurato il nuovo Gucci Museo, sito in un edificio del XIV secolo in Piazza della Signoria. Il brand lanciò anche una collezione a tiratura limitata chiamata ‘1921’ (anno di fondazione di Gucci): la collezione includeva i pezzi più classici ed iconici, come le borse Bamboo, Jackie e Horsebit, tutte realizzate con nuovi tessuti e colori. La festa arrivo fino in Giappone, dove Gucci espose alcuni dei suoi pezzi più preziosi in un tempio storico di Kyoto.

Nel 2011 venne celebrato il 150° anno dall’Unità d’Italia: Gucci e Fiat, due dei marchi più italiani più prestigiosi, collaborarono per la “500 by Gucci”. L’edizione speciale dell’iconica Fiat 500 fu personalizzata dal direttore creativo di Gucci Frida Giannini in partnership con il Centro Stile di Fiat.
Nel 2013, Gucci vendette la restante parte delle azioni al gruppo Kering. L’anno seguente, dopo la sfilata primavera/estate 2015, dopo sei anni, la direttrice creativa Frida Giannini lasciò Gucci a causa del calo delle vendite. Abbandonò l’azienda anche Patrizio di Marco (suo marito), amministratore delegato. Ultima collezione per Frida Giannini, primavera/estate 2015
A gennaio 2015, lo stilista italiano Alessandro Michele venne nominato direttore creativo; Marco Bizzarri divenne nuovo CEO.
Situazione attuale

Grazie ad Alessandro Michele e Marco Bizzarri, alla loro visione contemporanea che regalò al brand una nuova immagine eclettica e romantica, Gucci ristabilì il suo ruolo tra i marchi di alta moda più influenti al mondo. Oggi il brand è diventato il più grande marchio moneymaking del gruppo Kering, rappresentandone oltre il 60% del profitto operativo. Ad ora Gucci possiede 522 negozi in tutto il mondo e conta oltre 10.000 dipendenti.
La svolta con Alessandro Michele

Nato a Roma, Alessandro ha frequentato l’Accademia di Costume e di Moda. Iniziata una brillante carriera in Fendi come Senior Accessories Designer, chiamato da Tom Ford nel 2002, arrivò in Gucci. In seguito venne trasferito a Londra, nell’ufficio di progettazione di Gucci. Nel corso dei 12 anni di carriera, ha ricoperto svariati ruoli: nel 2006 è stato nominato DLeather Goods Design Director; a maggio 2011, promosso, divenne Associate dell’allora direttore creativo Frida Giannini. A settembre 2014, divenne anche direttore creativo di Richard Ginori, celebre brand fiorentino di design in porcellana acquisito da Gucci. Grazie all’operato di Alessandro Michele e a Gucci tutta, i ricavi di Kering stanno crescendo ad una velocità incredibile. Gucci ha visto aumentare i suoi ricavi del 21%, quasi raddoppiando le aspettative.
I 100 anni di Gucci e la collaborazione con Balenciaga
Sono passati cento anni. Cento rivoluzioni della Terra che mettono in discussione il flusso del tempo. Cento giri intorno al Sole per tornare a quella primavera, dove tutto stava per germogliare e rifrangere. Un momento importante da celebrare
I cent’anni della maison vengono celebrati con la collezione Gucci Aria. Presentata fuori calendario il 15 aprile 2021, attraverso un short-movie diretto da Floria Sigismondi, la collezione omaggia l’heritage GG. I riferimenti storici non mancano, il Savoy Club ( l’hotel di lusso di Londra dove Guccio Gucci lavorò da ragazzo), la Jackie 1961, il richiamo al mondo equestre e agli anni d’oro di Tom Ford, la celebre stampa flora e la Gucci Canvas. Tutti elementi che Alessandro Michele mescola creando un nuovo linguaggio visivo. Ma non solo storia, la collezione diventa un esperimento di hackeraggio, incursioni e metamorfosi in cui l’heritage di Gucci incontra l’immaginario di Balenciaga. Nasce una collaborazione che rompe gli schemi. Novantaquattro modelle si susseguono con in sottofondo una carrellata Gucci soundtrack, attraversano un club che pullula di luci e flash, per poi arrivare in un paradiso terrestre in un riconnettersi con la natura.
Il valore di Gucci
A cent’anni dalla fondazione della maison, e per il terzo anno consecutivo, Gucci nel 2021 si conferma il primo marchio italiano per valore. Con 28,17 miliardi di euro di brand value, il brand fiorentino si posiziona in testa alla classifica redatta dalla compagnia Kandar, dedicata ai Most valuable Italian BrandZ, triplicando per valore il secondo classificato e registrando così una crescita del 12% rispetto al 2020. Nella classifica, stilata unendo analisi finanziaria e percezione dei consumatori, anche Prada nella sesta posizione (3,3 miliardi di euro) e Fendi all’ottavo posto ( 2,65 miliardi di euro) con un incredibile crescita del 48%.
Ma il brand che registra un incremento più rapido è Bottega Veneta. Il brand guidato da Daniel Lee cresce del 58% con un valore di 1,83 miliardi di euro, posizionandosi così al dodicesimo della charts. Il tredicesimo posto è di Giorgio Armani, che cresce solo del 3%. Seguono Bulgari e Salvatore Ferragamo, rispettivamente alla quindicesima posizione (1,78 miliardi di euro) e alla diciannovesima (900 milioni di euro). In un anno di crisi i brand del lusso si sono dimostrato straordinariamente resistenti e Gucci guida a testa alta la classifica.
Leggi anche:
Gucci presenta la collezione Overturet
Torna alla Milano Fashion Week il marchio Gucci con Exquisite Gucci
Gucci Vault, è il turno dei gioielli vintage

Les Mauvais Garçons
