Delfi. Agli inizi del ‘900 si compì una vera evoluzione nel costume femminile. La tunica Delfi diventò, di diritto, il capo che soggiogò le regole estetiche imposte dalla Belle Époque.
L’artefice di questa creazione fu Mariano Fortuny y Madrazo che, di professione, era un pittore.
Invero, lui con la moda preferì mantenere un profilo basso proseguendo le orme del padre, il celebre pittore catalano Mariano Fortuny.
Nel 1907, infatti, il giovane artista realizzò un abito in seta plissettata che, se attorcigliato, poteva stare in una piccola scatola come fosse una matassa di lana.
La fortuna di questo capo, che ancora oggi viene battuto all’asta per centinaia di migliaia di dollari, è da ricercare in un’unica chiave di lettura: la libertà di movimento.
L’antesignano dell’Abito Delfi fu il chitone, ossia una tunica maschile in uso durante il periodo arcaico.

Originariamente questa divisa era destinata a uomini di alto rango e confezionata a secondo delle cariche che ricoprivano.
Per la donna, invece, questo particolare indumento si chiama chitone o peplo.
Mariano Fortuny, in realtà, si ispirò all’Auriga Delfi, una scultura bronzea databile al 475 a.C., conservata nel Museo Archeologico di Delfi.
Fortuny ideò un abito lungo fino ai piedi caratterizzato da una serie di innumerevoli plissettature.
Ciò che lo rendeva abbastanza interessante, però, era l’effetto chiaroscurale rivelato da un semplice telo di stoffa in seta.
Il brevetto
Fortuny, capita l’inestimabile fortuna che aveva tra le mani decise, nel 1909, di registrare il procedimento della tunica Delfi.
Ancora oggi non si conosce il procedimento per ottenere l’effetto delle piegoline sulla seta ma parrebbe che questa fitta plissettatura si ottenga con l’impiego di rulli di ceramica scaldata.
L’ “effetto Fortuny” non fu mai ripetuto sebbene le seterie di Lione tentarono di imitarlo agli inizi degli anni ’80.
La tunica Delfi esprimeva, in realtà, l’amore per l’Oriente e la scoperta della cultura ellenica, tanto professate dall’alta borghesia nei primi anni del novecento.
Il Delphos non era nient’altro che un abito con apertura per le braccia e la testa, rifinito con perle di Murano che nascondevano le cuciture che, allo stesso tempo, impreziosivano la silhouette.
Questo capo fu adottato sia come capo di scena che nella vita quotidiana da donne e artiste come Isadora Duncan, Liliana Diana Gish, Eleonora Duse, Irma Grammatica, Martha Graham e Linda Borelli.
Negli anni, Mariano Fortuny y Madrazo ha ispirato molti designer e artisti.
Dapprima, il suo amico e sarto francese Paul Poiret e, successivamente, l’americana Mary McFadden e Issey Miyake con la sua celeberrima collezione Pleats Please.
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