Surfers
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Surfers

Surfers, movimento giovanile e moda spontanea

Se, in un senso, è possibile descrivere i surfers come protohippies (ritorno alla natura, nomadismo, cura del vestire ridotta al minimo), dall’altro, è vero che raramente uno sport ha potuto essere identificato così radicalmente con uno stile di vita. Per dirla con le parole di Nik Cohn: “Mai uno sport più da pavoni è stato inventato”. Vero è che il surfing da sempre ha potuto contare su una propria mitologia, le iniziazioni, gli eroi e i racconti mitici, ma è all’inizio degli anni ’60 che diventa appetibile per una generazione di californiani appena adolescenti. Da una certa angolazione il surfline-style rappresenta l’epitome, il compendio dell’edonismo dell’epoca. Corsa sulle onde, feste in spiaggia, Beach Boys e ragazze e corse in automobile.

Lo stile dell’abbigliamento evolve da una fase iniziale, dove la versione estiva e rilassata del “preppy look” incontra la fascinazione esotica delle Hawaii, verso un modello sempre più decontratto. Fuori dalle performance sulle onde, varrà sempre più l’imperativo della massima rilassatezza. Spazio dunque a pantaloni e calzoni ampi in ogni parte, felpe con e senza cappuccio, T-shirt dalla grafica abbagliante, sandali. Si aprono gli anni ’70 e nascono molte ditte specializzate nel settore: da quelle per così dire organiche, che forniscono anche i capi tecnici come mute in neoprene e accessori (Billabong, Quiksilver e Rip Curl tra le prime), a quelle più funky come Komodo e Mambo.

Surfers
Surfers negli anni ’70

Da notare infine come il surfing abbia una versione montana (snowboarding) e una urbana (skating). Nate inizialmente come surrogati in mancanza del propellente vero (le onde), hanno sviluppato un linguaggio proprio. Anzi dall’interagire fra queste diverse discipline sono derivate in seguito notevoli innovazioni sia nell’ambito della tecnica surfistica sia nell’abbigliamento.

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