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Scuola Napoletana

Scuola Napoletana: culto dell’eleganza

Scuola napoletana, dove il culto dell’eleganza ha il suo santuario e i suoi più scrupolosi officianti. L’uomo elegante napoletano del XX secolo appare dominato dai sentimenti, opposti, dell’abbandono e della ricercatezza, della rinuncia e del desiderio di sbalordire.

Un masochistico compiacimento delle proprie debolezze da un lato, la raffinatezza e la cura ossessiva del dettaglio dall’altro. Queste le caratteristiche che fanno del gentiluomo di Chiaia un autentico dandy che porta a spasso i suoi abiti di taglio perfetto e, a contrasto, mai banale, camicie e cravatte di tessuti e fantasie splendidi.

Rubinacci, Napoli
Rubinacci, Napoli

Negli anni ’30

A cavallo degli anni ’30, Napoli è una delle città più eleganti d’Italia. Serafini, De Nicola, Morziello, Gallo, Blasi, e poi Rubinacci, Balbi, Piemontese sono i nomi di sarti famosi non soltanto in città. Vestire da Renato De Nicola, attardandosi nelle interminabili sedute di prova nel suo atelier di piazza Dei Martiri, negli anni del primo dopoguerra, è un obbligo per poter entrare in quella che Camilla Cederna definiva “la società”.

Anche le giacche di Angelo Blasi e Gennaro Rubinacci, caratterizzate dall’elaborata libertà del taglio, diventeranno, nel decennio che precede l’ultimo conflitto mondiale, un segno di appartenenza sociale, per i dettagli impercettibili ai profani.

Il conte Roberto Gaetani di Laurenzana pretendeva di provare l’abito stando seduto, per stabilire se anche in quella posizione “cadeva” bene. Poeti e pittori alla moda, autori di canzoni e giornalisti, commediografi e attori, giovani capitani dell’industria manifatturiera e dei trasporti, prima di essere inghiottiti dal conformismo fascista, sono gli scintillanti protagonisti di una stagione dorata.

Un pubblico sempre più ampio

Sono loro a portare alla ribalta e a imporre, anche a un pubblico che tende sempre più ad allargarsi, una moda maschile che nel frattempo si è del tutto liberata dei consunti stilemi ottocenteschi e che guarda, prima che a ogni altro esempio continentale, all’understatement britannico.

Tra gli anni ’20 e ’30, sull’onda della moda inglese, anche a Napoli le giacche si accorciano. Le linee si ammorbidiscono. I tessuti, anche quelli pesantissimi della tradizione britannica, sono trattati con tale sapienza da risultare più portabili. Questo rapido rinnovamento si deve all’altissima qualità artigiana dei nomi emergenti. È soprattutto la finezza e l’eleganza del taglio a rendere famosa la scuola sartoriale napoletana.

Riconosciuto capostipite è Salvatore Morziello che, fin dall’inizio del secolo, gestisce in via Chiaia con il socio Giovanni Serafini, la più importante sartoria maschile napoletana. È qui che vestono l’avvocato Porzio e il futuro primo presidente della Repubblica De Nicola, Edoardo Scarfoglio, Ernesto Murolo e Salvatore Di Giacomo. Gli abiti erano ancora rigidi, ingessati, pieni di imbottiture e spalline. Morziello snellisce le linee.

Don Salvatore non usa il metro, le misure le prende direttamente a occhio, tastando il cliente, a palmi e dita. E incredibilmente l’abito che esce dal laboratorio veste in modo perfetto. Tra i suoi lavoranti si segnala un abilissimo artigiano, Renato De Nicola che, quando la moda maschile si semplificherà dimenticando redingote e imbottiture, sfoggerà la sua maestria di tagliatore.

I grandi sarti della scuola napoletana

Tutti i grandi sarti a venire, fino agli Attolini, ai Blasi, ai Rubinacci, che dagli anni ’30 ai ’60 hanno costruito le loro fortune, possono vantare un’ascendenza nel laboratorio di Antonio Gallo, Salvatore Morziello, Renato De Nicola. È grazie alla magica arte del taglio su misura, estremo sviluppo di una straordinaria manualità, frutto, a sua volta, di una tradizione artigianale di eccellenza, che, nei primi anni ’30 Gennaro Rubinacci può creare la giacca napoletana, vera antesignana della giacca maschile moderna.

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