Sui, Anna
Anna Sui dalle bambole alle passerelle
Indice
- Le origini e i primi anni di carriera
- Il successo e le sue linee
- La clientela di star e collaborazioni
- Le esposizioni su Anna Sui
- Il corto e le apparizioni televisive
LE ORIGINI E I PRIMI ANNI DI CARRIERA
Anna Sui nasce a Detroit il 4 agosto 1964 da genitori cinesi. Già in tenera età capisce di voler diventare una stilista di moda, perciò si trasferisce a New York e si iscrive alla Parson The New School for Design. Inizia a ideare collezioni sportive e cura lo styling dei servizi fotografici di Steven Meisel. Sarà lui ad incoraggiarla a far sfilare i suoi capi in passerella alla New York Fashion Week del 1991: per lei sfilano gratuitamente le amiche Naomi Campbell, Linda Evangelista e Christy Turlington. È fortemente influenzata dalla scena punk newyorkese e si concentra su questo stile. Agli inizi degli anni ’90, le sue antenne, anticipando quasi tutti, captano dalla strada lo stile grunge.
La prima boutique apre a Soho nel 1992 e si fa notare per i mobili d’antiquariato neri e i muri viola, dipinti da Anna stessa. La stilista vende jeans e profumi Anna Sui come Sui Dreams, Flight of Fancy e Romantica. Inoltre, lancia tendenze come lo stile floreale anni Quaranta e le stampe fumettistiche. Dal 1997 in poi si fa conoscere in tutto il mondo con la serie di profumi Dolly Girl.
Sulla passerella delle sfilate ’99 a New York, ha presentato modelli in bianco e nero e patchwork e ponchos ispirati alle canzoni di Bob Dylan.
IL SUCCESSO E LE SUE LINEE
Il New York Times arriva a nominarla nella lista delle maggiori icone della moda. Nel 2007 ha lanciato una linea di abbigliamento per adolescenti chiamata Dolly Girl by Anna Sui e nel 2009 una per bambine chiamata Anna Sui Mini. Alla creazione di abbigliamento, la stilista ha anche affiancato la produzione di scarpe e di profumi. Nel 2008 è stata una della maggiori sostenitrici della campagna Save the Garment Center, per preservare il distretto della moda di Manhattan. Ha due show-room, uno a New York e l’altro a Los Angeles.
LA CLIENTELA DI STAR E LE COLLABORAZIONI
Fra le clienti più famose di Anna Sui si possono citare Paris Hilton, Patricia Arquette, Mischa Barton, Christina Ricci, Cher, Naomi Campbell, Sofia Coppola – per cui ha disegnato i vestiti per il film Lost in Translation – Lindsay Lohan, Hilary Duff, Marija Šarapova, Nicole Richie, Liv Tyler, Courtney Love, e James Iha.
Ha inoltre disegnato i costumi presenti nell’anime giapponese Il conte di Monte Cristo, ed alcune linee di cellulari della Samsung nel 2005. Nel 2006 esce una sua versione della Barbie per la Mattel. Ha una vera e propria devozione per le proprie bambole: così prende piede l’estro di Anna Sui che fin da bambina veste e riveste le proprie bambole arrivando ad organizzare immaginari Premi Oscar tra le pareti colorate della propria stanza da quando era bambina.
LE ESPOSIZIONI SU ANNA SUI
La stilista americana nel 2017 viene celebrata al Fashion and Textile Museum di Londra da “The World of Anna Sui”, una mostra che ne ripercorre la parabola dal debutto al successo, con più di 100 look e molto materiale della sua produzione.
Il Victoria and Albert Museum di Londra, per l’edizione Fashion in Motion, ospita una piccola sfilata della stilista. Le precedenti edizioni avevano visto protagonisti Alexander McQueen, Vivienne Tam, Christian Lacroix e Philip Treacy. Due abiti della stilista orientale, risalenti alla sua collezione primaverile del 1997, trovano posto nella mostra Men in skirts sempre al Victoria and Albert Museum.
IL CORTO E LE APPARIZIONI TELEVISIVE
Realizza un cortometraggio durante una sua festa privata: il materiale diretto da Zoe Cassavettes con la collaborazione di Noah Bogen viene poi utilizzato come “sfondo” per la presentazione della successiva collezione invernale. Il film evoca lo spirito del periodo pop dei festini di Andy Warhol. Tra gli attori-ospiti, c’erano Vincent Gallo, James Iha, Maggie Rizer, Duncan Sheik, Carmen Cass, Rufus Wainright, Verushka, Marc Jacobs, Karen Elson e George Condo.
Appare in America’s Next Top Model e Project Runway, talent show americani, ma anche in documentari come Diana Vreeland: The Eye Has to Travel e Make It in America: Empowering Global Fashion.
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